Un'interna fazione confonde sempre lo scopo ch'ella si propone colla speranza d'un miglior governo. Se gli uni si sforzano di far trionfare i nobili, egli è perchè si lusingano di trovare nell'aristocrazia maggior forza, dignità, prudenza e tranquillità: se altri esaltano il potere popolare, vuol dire che si ripromettono nella democrazia maggiore libertà, indipendenza ed energia. Nè gli uni nè gli altri sceglieranno scientemente per ottenere l'intento loro mezzi distruttivi dello scopo che si propongono, e questo scopo è sempre una salvaguardia dello stato medesimo. Ma quando i cittadini hanno preso parte collo stesso zelo in una fazione più estesa che la loro patria, in una fazione il cui scopo trovasi al di fuori di questa, quello è risguardato come un interesse superiore all'interesse nazionale: allora non sonovi sagrificj che i cittadini non siano disposti a fare per conseguirlo. Nelle dispute di religione, in quelle dell'impero e della chiesa, ridurre in servitù la sua patria, il sottoporla ad un governo violento ma energico, non è già un distruggere lo scopo propostosi, egli è al contrario un giovare spesse volte a somministrare più sicuri mezzi per ottenerlo. Le fazioni furono spinte in Toscana ed in Lombardia ad un egual grado di violenza; ma nel primo paese erano quelle della democrazia e dell'aristocrazia, onde fu mantenuta la libertà; nel secondo quelle de' Guelfi e de' Ghibellini, ed il governo repubblicano fu loro sagrificato.
Carlo d'Angiò, che alimentava le passioni da cui sperava i suoi prosperi successi, fece adunare a Cremona una dieta delle città guelfe della Lombardia.
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