I Genovesi cui appartenevano quasi tutti i vascelli della flotta, e che per formarne gli equipaggi avevano dati alla crociata più di dieci mila uomini, erano in forza di antichi trattati specialmente esentati da così barbara legge; ed in forza della legislazione de' cristiani lo dovevano pur essere i crociati all'attuale servigio della chiesa: ma quand'anche non si fosse potuto addurre verun altro privilegio, la confisca non doveva giammai estendersi ai compagni d'armi del re, a coloro ch'eransi con lui sottratti alla stessa burrasca come alle medesime battaglie. Pure Carlo non volle udir ragioni: tutto fu tolto agl'infelici naufragati, ed il re di Sicilia riebbe sui beni de' suoi amici un tesoro eguale a quello che il bey di Tunisi aveva pagato per liberarsi dall'assedio, e che il mare aveva inghiottito341.
(1271) Dopo essere rimasto poche settimane in Sicilia, Carlo venne a Viterbo con suo nipote Filippo l'ardito, per impegnare i cardinali a dare finalmente dopo due anni un capo alla chiesa. Mentre i crociati trovavansi adunati in Viterbo, un gentiluomo francese vi commise un delitto, che gl'Italiani risguardarono quale sicuro argomento della ferocia de' suoi compatriotti, e come una nuova ragione di detestarli. Gui, conte di Monforte, luogotenente di Carlo in Toscana, scontrò in chiesa Enrico, figlio di Riccardo, conte di Cornovaglia e re de' Romani. Volendo vendicare sopra di lui suo padre ch'era stato ucciso combattendo contro il re d'Inghilterra342, attaccò questo giovane principe ai piedi dell'altare ove assisteva devotamente alla messa, e lo passò da banda a banda collo stocco ch'egli teneva in mano; indi uscì di chiesa senza che Carlo osasse ordinarne l'arresto.
| |
Genovesi Carlo Sicilia Tunisi Sicilia Carlo Viterbo Filippo Viterbo Italiani Monforte Carlo Toscana Enrico Riccardo Cornovaglia Romani Inghilterra Carlo
|