Dalle corrispondenze ch'erasi egli conservate nelle due Sicilie, riceveva continui avvisi delle vessazioni de' Francesi, delle loro ingiustizie, delle loro crudeltà, ed in particolare dell'affettato disprezzo che mostravano d'una nazione, ch'essi per altro non avevano conquistata, ma che si era da sè medesima data nelle loro mani per la tradita speranza d'un miglior governo.
Giovanni di Procida informava il re e la regina d'Arragona delle lagnanze de' Siciliani, i quali, trovandosi più lontani da Carlo, erano abbandonati a' suoi vicarj, e più crudelmente vessati dei Pugliesi. Faceva sentire alla regina, ch'ella era la sola legittima erede della casa di Svevia e del regno delle due Sicilie; che Corradino, morendo, l'aveva in un modo solenne chiamata a raccogliere la sua eredità ed a vendicare il suo supplicio; che non si trattava soltanto d'un diritto, ma ch'era per lei un dovere d'accettare il governo d'un paese che gli veniva trasmesso dalle leggi delle due nazioni e dai voti dei popoli: e perchè Pietro e Costanza non erano sconsigliati dalla guerra di Sicilia, che per credersi troppo deboli da attaccar soli un re che aveva fama d'essere allora il più potente di tutta la Cristianità, Procida vendette tutti i beni che aveva ricevuti dalla loro liberalità, onde impiegarne il prezzo ne' suoi viaggi diretti a suscitare nemici a Carlo in tutto il mondo allora conosciuto389.
Nel 1279 passò prima in Sicilia per conoscere personalmente lo stato de' sudditi di Carlo. Trovò che non doveva sperar molto dalle province di terra ferma al di qua del Faro390, perchè sopra le rovine de' partigiani della casa Sveva molti baroni francesi eransi stabiliti così sodamente quanto potevano esserlo i loro predecessori.
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