Filippo lo fece; ma non avendo deposto ogni sospetto, consigliava il papa e Carlo a chiedere a Pietro nuovi schiarimenti. Martino mandò all'Arragonese un Domenicano per interrogarlo a nome della Chiesa intorno al segreto della sua spedizione, promettendo i soccorsi della santa sede, se effettivamente armava contro i nemici della fede; e vietandogli di procedere più oltre se pensava di attaccare un principe cristiano. Pietro si accontentò di rispondergli che se una delle sue mani manifestasse all'altra il suo segreto, la troncarebbe all'istante406. Allorchè Martino comunicò tale risposta a Carlo: «Io ve lo aveva ben detto, soggiunse il re di Sicilia, che l'Arragonese era un miserabile;» non pertanto egli non prese veruna precauzione. Gli apparecchi di Pietro si prolungarono fino al cominciamento del 1282 che egli spiegò le vele alla volta dell'Affrica. A quest'epoca era già scoppiata la congiura in Sicilia, ma Pietro non poteva saperlo, e stette aspettando l'andamento delle cose nelle vicinanze d'Ippona, facendo freddamente la guerra ai Mori.
Giovanni di Procida non aveva aspettato che la flotta arragonese fosse apparecchiata per passare in Sicilia e scorrere quell'isola sotto diversi travestimenti. Col danaro de' Greci somministrava armi a chiunque non ne aveva; alimentava, riscaldava il loro spirito colla speranza di una pronta liberazione, e soprattutto comunicava ai suoi compatriotti quel profondo implacabile odio contro i Francesi, ch'era la molla di tutte le sue azioni. Egli non formava congiure, ma eccitava le passioni del popolo onde fosse apparecchiato ad ogni avvenimento ed al risentimento dei primi oltraggi, troppo sicuro che non mancherebbe poi qualche eccitamento al comune odio.
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