Intanto passò alcun tempo avanti che la flotta e l'armata del re, adunate in Brindisi per la spedizione della Grecia, potessero porsi in mare. Lo stesso Carlo andò a Brindisi, ove dovevano pure recarsi le truppe ausiliarie che gli mandavano le città guelfe della Toscana e della Lombardia. Fece in appresso marciare la sua armata fino all'estremità della Calabria, ed egli stesso s'imbarcò per raggiungerla a Reggio. Soltanto il 6 di luglio del 1282 arrivò in faccia a Messina con cento trenta galee o grosse navi, e trasportò le sue truppe dall'una all'altra riva dello stretto. Egli aveva con lui cinque mila uomini d'armi ed un ragguardevole corpo d'infanteria2. I Siciliani non avevano armata da opporre al re, ma non erano affatto sprovveduti di navi. Erano cadute in loro potere quelle che Carlo avea fatto allestire per l'impresa di Grecia a Palermo, a Siracusa ed in altri porti dell'isola, come pure i materiali che trovavansi ne' cantieri di Messina, che furono adoperati in difesa della città, dove le mura erano guaste, facendo palizzate e baluardi, resi forti solamente dal coraggio de' difensori.
Mentre gli abitanti di Messina respingevano valorosamente i giornalieri assalti di Carlo, Giovanni di Procida, accompagnato dai sindaci e procuratori di tutte le città siciliane, fece un secondo viaggio alla corte del re Pietro d'Arragona per affrettarne i soccorsi. Lo trovò ad Ancolle, porto dell'Affrica, ove, malgrado il cattivo esito della sua spedizione contro i Mori, si rimaneva, preferendo di lasciare i Siciliani esposti molti mesi a tutte le vendette di Carlo, più tosto che esporsi al risentimento di quel temuto monarca avanti di vedere qual piega prenderebbero gli affari della Sicilia.
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