Ma Carlo non potè sostenere coi fatti l'orgoglio della sua lettera: il suo ammiraglio Enrico de' Mari venne ad avvertirlo che aveva avviso dell'imminente arrivo di Ruggero di Loria, e ch'egli non poteva sostenerne l'incontro, perchè le sue grosse navi mal potevano manovrare nello stretto, ed altronde erano affatto disarmate: gli osservava che erano nella burrascosa stagione dell'equinozio; che la Calabria non offriva alcun sicuro porto per ripararvisi; e che, se la flotta era incendiata dal nemico, la sua armata avrebbe dovuto morire di fame. Convien che le circostanze fossero urgenti, poichè un monarca così fiero, così irritato, un monarca così coraggioso fu forzato di cedere; pure la cosa non è affatto chiara. In tre giorni l'armata francese ripassò lo stretto, ed il quarto, 28 di settembre, Ruggero di Loria comparve innanzi al porto di Messina, e s'impadronì di ventinove galere francesi che non fecero veruna resistenza. Si avanzò poi verso la Catona e Reggio di Calabria dove avevano dato fondo tutte le galere e le navi da trasporto del re, in numero di ottanta, e vi fece appiccare il fuoco sotto gli occhi di Carlo che non poteva difenderle: il quale vedendo l'incendio della sua flotta rodeva per rabbia lo scettro che teneva in mano, e gridava: «Ah Dio! Dio! voi m'avete elevato assai! vi prego che mi facciate scendere dolcemente»6.
Pareva a Carlo che la sua flotta e la sua armata ch'egli era accostumato a far agire con somma facilità, si rifiutassero tutti ad un tratto di seguire gl'impulsi della mano che li dirigeva.
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