Pel corso di sei mesi non altro udivansi in Pisa che gemiti, gridi e funebri rimembranze.
Intanto i Genovesi, rientrati in porto, festeggiavano ne' templi la loro vittoria, e consultavano intorno alla sorte di tanti prigionieri. Alcuni senatori proponevano di cambiarli contro il forte di Castro in Sardegna, il quale risguardavasi come il baluardo de' possedimenti de' Pisani in quell'isola; ed altri preferivano una taglia in danaro. Ma la gelosia nazionale suggeri il più dannoso consiglio di tenerli in prigione perpetuamente, affinchè le loro mogli, non potendo rimaritarsi, venisse Pisa a mancare di nuova popolazione. Questo consiglio fu adottato, ed essendosi prolungata la guerra tredici anni, quando finalmente la pace rendette la libertà a quel misero avanzo di prigionieri, trovaronsi per le riportate ferite, per malattie, per l'età ridotti a così ristretto numero che, di undici mila, ne tornarono a Pisa appena mille.
Se la condotta de' Genovesi fu poco generosa, quella de' Guelfi toscani lo fu ancora meno. Pisa era la sola città ghibellina della provincia; onde essi determinarono di approfittare della presente sventura per distruggerla colla sua fazione. Fecero perciò proporre ai Genovesi di collegarsi con loro, promettendo di assediare Pisa per terra, mentre i Genovesi la chiuderebbero dalla banda dei mare, obbligandosi di non accordarle la pace a veruna condizione, ma di atterrarne le mura e disperderne i cittadini nelle vicine terre. Fiorenza, Lucca, Siena, Pistoja, Prato, Volterra, San Gemignano e Colle sottoscrissero quest'alleanza coi Genovesi, ed il 10 di novembre tutti i Fiorentini domiciliati in quella città l'abbandonarono, giusta l'ordine ricevuto dalla loro patria, mentre seicento cavalieri al soldo di Firenze entravano, per la strada di Volterra, nel territorio pisano, guastandolo e facendo ribellare molte terre18.
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