Nino ardentemente desiderava la liberazione de' Pisani prigionieri in Genova, e perchè lo richiedeva il bene della repubblica, e per dare maggiore consistenza al suo partito. Prevedeva Ugolino all'opposto, che tornando questi prigionieri, si opporrebbero allo stabilimento della sua tirannide, e frapponeva ostacoli a tutti i trattati che Nino apriva coi Genovesi. Il giudice di Gallura tentò dì fare violenza al conte, chiamando il popolo a parte della sua causa: ed i suol partigiani si sparsero un giorno per le strade, gridando morte a tutti i nemici della pace; ma, contro la sua aspettazione, il popolo non prese le armi a quel grido, e la sua inazione equivaleva pel conte ad una vittoria. Allora Nino lo attaccò in una più legal forma, accusando innanzi ai consoli ed agli anziani delle arti il capitano generale, d'avere in onta delle leggi estesa la sua autorità, d'essersi attribuito l'ufficio di podestà e d'essersi impadronito del palazzo della Signoria, che non gli era stato accordato dal popolo. Effettivamente i magistrati impegnarono Ugolino a ritirarsi dal palazzo della Signoria, e si misero di mezzo per riconciliare i due capi di parte. Intanto venne nominato un nuovo podestà, e nel susseguente anno, senz'essere spogliato della carica di capitano generale, non potè per altro governare la città a suo arbitrio.
In aprile del 1287, la repubblica ricevette quattro nuovi deputati dei prigionieri di Genova, che venivano a trattare della pace e della taglia. Il trattato che essi proponevano, non ponendo verun'altra condizione alla loro libertà che il pagamento d'una somma di danaro, era stato sottoscritto dagli stessi prigionieri: pure passarono tredici mesi senza che a Pisa si fosse potuto ottenerne la ratifica, tanti erano gli ostacoli che il conte vi andava frapponendo.
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