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      I deputati, saliti sulla nave dell'ammiraglio, e veduto il principe Carlo riccamente vestito in mezzo a' suoi baroni, credettero che fosse Ruggeri di Loria, onde prostrati innanzi a lui gli offrirono i fichi e le duecento monete d'oro che avevano portato, e gli dissero: «Messere l'ammiraglio, aggradisci dal comune di Sorrento queste frutta e queste monete, e sappi che noi fummo i primi a dare a' tuoi nemici il segno della fuga. Piacesse a Dio, che come prendesti il figliuolo, così avessi tu preso anche il padre.» Carlo, quantunque afflitto da tanta sciagura, non potè trattenersi di ridere dell'equivoco: «Per Dio, gridò, guarda sudditi fedeli a monsignore il re26!»
      Carlo d'Angiò si sforzò di non mostrarsi abbattuto dall'avviso di questa disfatta, che ricevè quasi subito, trovandosi la sua flotta innanzi a Gaeta il giorno dopo la battaglia: ma si vendicò del poco affetto che gli aveano mostrato i Napoletani, facendone appiccare più di centocinquanta; colla quale crudele esecuzione pretendeva d'aver fatto grazia a Napoli, che a suo credere meritava d'essere distrutta. Fissò per luogo di unione delle sue tre flotte di Provenza, di Salerno e di Puglia, Concione in Calabria; ed egli andò per terra a Brindisi per affrettare l'armamento dell'ultima.
      Frattanto il papa, sulla domanda del re Carlo, aveva spediti due cardinali in Sicilia per conferire coi ribelli, e liberare se era possibile l'unico suo figliuolo, loro prigioniero. Carlo sotto il peso delle traversie, che da due anni lo perseguitavano incessantemente, aveva alquanto perduto di quel fermo ed intrepido carattere che aveva sempre mostrato, e di quella confidenza nella propria fortuna, cui più che a tutt'altro era debitore delle altre sue qualità. Quantunque avesse sotto i suoi ordini una flotta di centodieci vascelli, si lasciò aggirare dai negoziati de' Siciliani, e passò l'estate senza far nulla.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo IV
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 288

   





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