Molti gentiluomini della famiglia Cancellieri scontraronsi in una taverna ove giuocarono insieme; poichè furono riscaldati dal vino, un di loro, detto Carlino, figlio di Gualfredi, insultò e ferì un altro Cancellieri egualmente cavaliere, chiamato Amadoro, o Doro, figliuolo di Guglielmo. Questi due giovani, sebbene parenti, appartenevano a due diversi rami della stessa famiglia, distinti dai soprannomi di Bianchi e di Neri, loro venuti anticamente dall'avere avuto il loro antenato comune due donne, da una delle quali che aveva nome Bianca, Bianchi chiamaronsi i suoi figliuoli, e coll'opposto nome di Neri quelli dell'altra. Doro era del ramo nero. Apparecchiando la sua vendetta contro la famiglia che lo aveva insultato, adottò un principio odioso, che sembra essere stato costantemente seguito in Pistoja; cioè, che a fine di rendere la vendetta compiuta, richiedevasi che non cadesse sopra l'offensore; imperciocchè se colpiva quel solo non era che un castigo che, proporzionato essendo all'offesa ed aspettato, non poteva essere cagione di un dolore abbastanza profondo a coloro de' quali volevasi trarre vendetta. La prima offesa era caduta sopra un innocente; onde perchè la scambievolezza fosse compiuta, era necessario che la seconda cadesse sopra un uomo ugualmente innocente. Doro, sortendo dalla taverna, ov'era stata insultato, si pose in un'imboscata, e la sera dello stesso giorno, vedendo passare un fratello di colui che lo aveva ferito, il quale era un giudice, detto Vanni, lo chiamò, e Vanni avvicinandosi senza veruna diffidenza, nulla sapendo nemmeno della rissa accaduta la mattina, Doro si gettò sopra di lui con intenzione di ucciderlo, e colla spada gli troncò una mano e lo ferì nel volto.
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