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      La lite tra i nobili proprietarj delle campagne ed i borghesi stabiliti nelle città aveva omai cambiata natura ed oggetto nel tredicesimo secolo. I primi riconoscevano la libertà civile dei secondi, e protestavano di rispettarla; ma chiedevano, per un riguardo dovuto alla loro nascita, e per il decoro delle repubbliche alle quali erano essi incorporati, di essere esclusivamente incaricati dell'amministrazione dello stato. Eglino soli, dicevano, potevan nutrire o affamare le città, di cui erano parte, eglino soli erano radicati al suolo, e non potevano separare il loro particolare interesse da quello della patria, mentre avevano veduto sorgere nelle città certe fortune mobili che potevano prosperare in mezzo alle calamità pubbliche, ed essere dai commercianti facilmente sottratte a tutte le rivoluzioni. Questi nuovi ricchi, soggiugnevano, si sottraggono facilmente alle leggi, e non guarentiscono la società del loro attaccamento e della loro ubbidienza: stranieri alla propria città, saranno assai più che ai naturali loro magistrati, subordinati al soldano che regna in Antiochia e conquista san Giovanni d'Acri, all'imperatore di Costantinopoli o al re di Francia, ove tengono i loro banchi e le ricchezze.
      Dall'altra banda i mercanti, che per un generoso attaccamento alla patria, sostenevano quasi soli le gravezze dello stato sopra quelle loro sostanze che i finanzieri della repubblica non avrebbero potuto ferire, si sdegnarono a ragione vedendo che si tentava di escluderli da quella sovranità ch'essi avevano conquistata e di cui erano tuttavia il principale sostegno.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo IV
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 288

   





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