«Ed avanti che sien di là discese,
Anche di qua nuova schiera s'aduna166.»
È pure incerta l'epoca in cui si pubblicò la Divina Commedia. Abbiamo veduto che Dante vi fece nuove addizioni l'anno 1318, e che forse continuò a farne fino all'epoca della sua morte. Prima del ritrovamento della stampa, l'epoca in cui un'opera diventava di pubblico diritto non era segnata come al presente, e le opere di Dante erano, non v'ha dubbio, conosciute da moltissimi prima che le avesse rivedute per l'ultima volta. Racconta Franco Sacchetti che il popolo cantava in Firenze i versi della Divina Commedia prima dell'esilio del poeta, il quale non potea frenare la sua collera contro un maniscalco o un asinajo che gli sfigurava cantando167.
A fronte della severità de' Fiorentini verso Dante e dell'ingiusta loro sentenza, dopo la di lui morte, la pubblicazione del suo poema lo sollevò al posto che meritava di occupare. Ovunque si prese a glossarlo; ed i suoi proprj figliuoli, Pietro e Giacomo, furono i primi ad arricchirlo di note. Giovanni Visconti, arcivescovo e signore di Milano, adunò del 1350 i sei più dotti uomini di tutta l'Italia, due teologi, due filosofi e due antiquarj fiorentini, affinchè scrivessero un commentario sulla Divina Commedia168. A Firenze del 1373 si fondò una cattedra per commentare Dante, ed il Boccaccio fu il primo professore di questa nuova scienza; come Benvenuto da Imola fu il primo che la professasse nell'altra cattedra istituita in Bologna. I Fiorentini chiesero più volte, e sempre invano, le ceneri di Dante ai successori di Guido da Pollenta; coniarono medaglie in suo onore, e coronarono solennemente d'alloro la sua statua nel Battistero.
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