«Allor surse alla vista scoperchiataUn'ombra lungo questa infino al mento:
Credo che s'era inginocchion levata.
«D'intorno mi guardò, come talentoAvesse di veder s'altri era meco:
Ma poi che 'l suspicar fu tutto spento,
«Piangendo disse: Se per questo ciecoCarcere vai per altezza d'ingegno,
Mio figlio ov'è, e perchè non è teco?
«Ed io a lui: Da me stesso non vegno:
Colui che attende là, per qui mi mena,
Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno.
«Le sue parole, e 'l modo della penaM'avevan di costui già letto il nome:
Però fu la risposta così piena.
«Di subito drizzato, gridò: ComeDicesti, egli ebbe? non viv'egli ancora?
Non fiere gli occhi suoi lo dolce lome?
«Quando s'accorse d'alcuna dimoraCh'io faceva dinanzi alla risposta,
Supin ricadde e più non parve fuora.
. . . . . . . . . . . . .
«Allor, come di mia colpa compunto,
Diss'io, ora direte a quel cadutoChe 'l suo nato è co' vivi ancor congiunto170.»
Dobbiamo per ultimo parlare degli storici del tredicesimo secolo, e di coloro che testimonj degli ultimi anni di questo periodo, comechè abbiano scritto nel quattordicesimo, devono risguardarsi come contemporanei. Niun altro paese del mondo ne produsse quanti l'Italia, ove difficilmente si troverà una città che non abbia il suo storico: ed alcune, come Fiorenza, Padova, ec. possono contarne quattro, cinque ed anche più: perciò dopo il regno di Federico II la storia prende un altro carattere; una profonda conoscenza dei fatti, una perfetta verità nei particolari, una ingenuità piena di grazia, un movimento che proviene dai più veri sentimenti, sono i caratteri di molti storici di quest'epoca: e questi tratti sono quelli che ne rendono aggradevole la lettura, quando ancora non si prenda veruno interesse ai fatti riferiti.
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