Lasciò nuovamente Firenze sotto l'interdetto, e rinnovò contro questa città la scomunica del cardinale di Prato; dopo di che tornò in Francia presso il papa, che allora trovavasi in grandissimo bisogno dell'assistenza di tutti i cardinali.
L'implacabile Filippo il bello perseguitava ancora la memoria di Bonifacio ch'egli aveva fatto morire disperato: voleva che il papa, con iscandalo gravissimo di tutta la cristianità, condannasse la memoria del suo predecessore; voleva che il pontefice l'ajutasse in pari tempo a far cadere tutte le sue vendette sopra un ordine di cavalieri religiosi, che, soli del clero francese, avevano anteposta l'autorità della chiesa a quella del re, ed avevano osato di rimanere dubbiosi se dovessero prestarsi alle sue volontà. Questi cavalieri avevano inoltre inasprito il monarca, manifestando il loro malcontento per le frequenti alterazioni e falsificazioni delle monete che ruinavano il popolo.
Clemente V non poteva accordare al re di Francia la prima domanda, non potendo condannare la memoria di Bonifacio per delitto d'eresia, nè far diseppellire le sue ossa per abbruciarle senza esasperare tutta la cristianità. Bonifacio erasi forse reso colpevole di molti delitti, ma la sua dottrina era sempre stata conforme a quella della Chiesa, facendone fede il sesto libro delle decretali da lui compilato. Inoltre un tale giudizio contro il capo della religione, quand'anche fosse giusto, era fatto per iscuotere la religione medesima: l'autorità di Clemente, dopo la condanna del suo predecessore, sarebbesi trovata in difetto nella sua sorgente medesima, perchè molti de' cardinali che lo avevano eletto, erano creature di Bonifacio: se questi era eretico, la loro nomina e l'elezione di Benedetto XI e di Clemente V erano nulle; e Clemente che cessava d'essere papa, più non aveva il diritto di condannare il suo predecessore.
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