Ma i giureconsulti, ancora più degli eruditi, contribuirono a sottomettere l'opinione del tredicesimo secolo alle leggi ed alle costumanze della corte de' Cesari di Roma e di Costantinopoli. Giammai la giurisprudenza non fu più universalmente studiata; perchè giammai nè questo, nè altro studio aprì così larga e sicura strada agli onori ed alle ricchezze. Studiando le leggi positive di Giustiniano, i legisti andavano a poco a poco rinunciando alla propria ragione, e s'avvezzavano a cercare non quello che ordinava la giustizia, ma quello che avevano pronunciato gl'imperatori. Si può osservare nelle opere di Bartolo e di Baldo, che fiorirono nel XIV secolo, l'immenso lavoro ad un tempo e l'abietta servilità de' legisti. Affezionandosi al libro su cui avevano sparsi tanti sudori, concepivano per le Pandette un rispetto, o piuttosto una venerazione che s'avvicinava all'idolatria; onde vedevano nelle leggi d'una monarchia straniera o distrutta l'unica norma del diritto pubblico, siccome del diritto naturale e civile.
Lo stesso Enrico era intimamente persuaso del suo diritto divino sopra tutte le terre dell'impero, ma era ancora penetrato del più profondo rispetto per la Chiesa romana; ammetteva tutte le concessioni che i Cesari suoi predecessori avevano fatte al papa; risoluto di voler essere il suo campione, non il suo avversario; e credevasi sicuro del favore di Clemente V, che l'aveva invitato a recarsi a Roma, e che aveva fatti partire i suoi legati per accompagnarlo in questo viaggio e coronarlo a nome della chiesa nel Vaticano.
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