Enrico era povero, e la sua armata era in certo modo composta solamente d'avventurieri, di principi e di signori che avevano abbandonati i loro piccoli stati, nella lusinga di fare una rapida fortuna seguendo l'imperatore; e la necessità in cui trovavasi Enrico di appagare le loro brame, fu cagione che dovesse ben tosto alienarsi que' popoli cui lo avevano reso poc'anzi così caro i suoi talenti e le sue virtù.
Per supplire ai suoi primi bisogni aveva domandato alle città un dono gratuito in occasione del suo coronamento. Fu adunato il senato di Milano per deliberare della somma che, dietro lo stato della pubblica fortuna, potrebbero pagargli il popolo ed il comune. Trovavansi in senato i due capi delle opposte fazioni, Matteo Visconti e Guido della Torre, che non solo ambivano la sovranità della loro patria, ma ne erano già stati a vicenda padroni. Avevano l'uno e l'altro il progetto o di procacciarsi l'esclusivo favore d'Enrico, o d'inasprire il popolo contro di lui per cacciarlo poi di città. Amendue perciò proposero una maggior somma di quella di cinquanta mila fiorini progettata da Guglielmo della Pusterla. Il Visconti disse di aggiugnerne altri dieci mila per l'imperatrice, ed il della Torre fece ammontare la somma totale a cento mila. Invano i mercanti ed i legisti fecero supplicare il monarca dai loro deputati a minorare una contribuzione che la città non poteva portare, ma egli non volle condonare nulla di quanto il senato gli accordava, e le tasse vennero all'istante accresciute con infinito malcontento del popolo263. Perchè si cominciò a mormorar fortemente ed a minacciare gli oltramontani, in modo che il vescovo di Botronto non ardiva talvolta uscire dal convento in cui era alloggiato, per tema d'essere insultato dal popolo.
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