Enrico, che appunto in quest'epoca pensava di lasciar Milano per recarsi a Roma, volle condurre con se molti ostaggi, onde assicurarsi della fedeltà delle due fazioni. Sotto colore di rendere più magnifico il suo seguito, domandò al comune cinquanta cavalieri; ma egli destinò a questa spedizione Matteo Visconti, Galeazzo suo primogenito e ventitre gentiluomini ghibellini; Guido della Torre con Francesco, suo primogenito, e ventitre gentiluomini guelfi. Questa scelta accrebbe il malcontento e parve che ravvicinasse le due fazioni. Il popolo rassomigliava di nuovo gli oltramontani a tutti i barbari antichi, nemici del nome romano, dava loro lo stesso nome, e chiaramente diceva essere cosa indegna l'assoggettar loro la patria. Alcuni facevano l'enumerazione delle forze reali d'Enrico e mostravano ai malcontenti come alienandogli le forze italiane, non Milano, ma la più piccola città lombarda potrebbe a lui pareggiarsi.
I figli dei due capi di parte, Galeazzo Visconti e Francesco della Torre ebbero un abboccamento fuori di porta Ticinese, dopo il quale molti cavalieri girarono le contrade gridando «morte ai Tedeschi! Il signor Visconti ha fatto pace col signor della Torre!264» All'istante il popolo prese le armi, e si riunì in diversi rioni, ma specialmente presso di porta nuova intorno alle case dei Torriani. Enrico senza perder tempo spedì tutte le sue truppe ad attaccare quelle case, prima che fossero più gagliardamente fortificate. Frattanto egli era estremamente agitato; non dissimulandosi che con un pugno di cavalieri tedeschi non avrebbe potuto tener fermo in mezzo ad una città nemica, qualora i Visconti si fossero uniti ai Torriani e la nobiltà al popolo.
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