«Prima di giugnervi, dice il vescovo di Botronto, fu da noi spedito al podestà, capitano, ed altri governatori della città, lo stesso notajo ch'era stato imprigionato a Bologna, onde prevenirli che venivamo quali messaggeri di pace pel bene della Toscana con lettere di vostra santità e del re, pregandoli in pari tempo di prepararci un alloggio. Avendo i magistrati ricevute le nostre lettere, adunarono, secondo il costume di Firenze, il gran consiglio che non si sciolse prima del tramontare del sole. Il nostro messo, dopo avere molto aspettato, non essendogli stata preparata alcune stanza, si ritirò, incaricando alcuna persona di avvisarlo nel luogo indicato, quando fosse richiesto per ricevere una risposta. Appena giunto al suo alloggio, il consiglio si separò e fece conoscere coi fatti la risposta che aveva determinato di darci. Gli usceri della città, in ora così avanzata, proclamarono al popolo, per parte del consiglio, in tutti i luoghi consueti, ch'eravamo giunti due miglia lontano dalla città, noi messi ed ambasciatori di quel tiranno, re di Germania, che aveva in Lombardia distrutto il più che avea potuto del partito guelfo, e che adesso preparavasi ad entrare in Toscana dalla banda del mare per distruggere i Fiorentini ed introdurre in casa loro i più fieri nemici; che questo re aveva spediti noi per la via di terra, noi ch'eravamo preti, per sovvertire la loro patria sotto l'ombra della chiesa: onde bandivano pubblicamente il signor re e noi ch'eravamo suoi nunzj, permettendo, a chiunque il volesse, di offenderci impunemente sia nelle persone che nelle proprietà, essendo a loro notizia che portavamo molto danaro per corrompere i Toscani ed assoldare i Ghibellini.
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