Alcuni de' nostri domestici fuggirono, gettandosi dalle finestre nell'attiguo giardino, e così fece il frate mio compagno275; altri si nascosero sotto i letti, temendo d'essere uccisi; pochi rimasero con noi. Ma Iddio che ci liberò dalle loro mani, ci diede tanto coraggio, che, posso attestarlo sulla mia coscienza, non ebbi il menomo timore per me, sebbene fossi il più esposto. Mentre ciò accadeva alle Lastre, in Firenze si tumultuava; dicevano molti essere mal fatto il bandirci in tal modo, e specialmente il signor Pandolfo ch'era uno de' più nobili di Roma. Per questo motivo, e mossi inoltre dalle preghiere di quel mercante di casa Spini, che chiamavasi, se bene mi ricordo, Avvocato, il podestà ci mandò una delle sue guardie ed il capitano un cittadino in compagnia de' quali venne anche il detto mercante. Essi scontrarono sulla strada alcuni de' nostri cavalli e delle bestie da soma, che venivano condotti in città; li ripresero ai soldati, e ce li ricondussero, dicendoci nello stesso tempo che, se ci era cara la vita, dovevamo subito dar a dietro, mentre si sarebbero essi occupati di farci rendere tutto quanto eraci stato tolto. Volevamo esporre loro la nostra ambasciata, ma rifiutarono di ascoltarla; volevamo far loro vedere le vostre lettere, e non vollero vederle. Si chiese che ci fosse permesso di attraversare di notte Firenze ben custoditi affinchè non potessimo parlare ad alcuno; ma lo negarono, dicendo, che avevano ordine di farci ritornare là onde eravamo venuti. Questo vecchio Avvocato degli Spini ci aveva appartatamente detto che ci guardassimo dall'entrare in Bologna, o nel suo territorio, ove già si sapeva che dovevamo essere scacciati dal distretto di Firenze, e che i Bolognesi dovevano trattarci come pubblici nemici, affinchè atterrito dal nostro esempio verun altro osasse entrare nel territorio della lega.
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