In fatti vi fu consacrato il 29 giugno del 1312, giorno della festa de' santi Pietro e Paolo281.
Il nuovo imperatore trovavasi in Roma in assai difficile posizione: metà della città era in aperta guerra contro di lui, essendovi acquartierata un'armata nemica eguale alla sua, che poteva da un istante all'altro essere ingrossata, mentre quella dell'imperatore non poteva ricevere soccorso che da troppo lontani amici. Cane della Scala ed i Ghibellini che gli erano in Lombardia rimasti fedeli, venivano tenuti a casa dalla guerra che loro facevano le città guelfe; e l'aria pestilenziale di Roma atterriva talmente la sua armata, che non aveva potuto impedirne la divisione. Il duca di Baviera, il conte Luigi di Savoja, il conte d'Ainault, il fratello del Delfino del Viennese e circa quattrocento cavalieri, abbandonarono Enrico nel cuore dell'estate per tornare al loro paese282. Quando trovavasi in tali angustie, la repubblica di Pisa si affrettò di soccorrerlo. Aveva equipaggiate sei galere per mandargli dei soldati, le quali essendo cadute alla Meloria in potere della squadra di Roberto dopo una ostinata difesa, fece all'istante partire per la via di terra seicento arcieri, e gli mandò un'altra somma di danaro283.
Enrico erasi ritirato a Tivoli, piccola città più proporzionata alle debolezze della sua armata, ove stava aspettando in più sano clima il fine dei calori estivi284. In sul declinare di agosto si pose in marcia per Sutri, Viterbo e Todi, alla volta della Toscana, ansioso di castigare i Fiorentini e tutti i popoli della lega guelfa che avevano cercato con tanto accanimento di moltiplicare i suoi nemici in ogni parte dell'Italia.
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