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      Perciò i Fiorentini trovavano giusto che i cittadini, che i gentiluomini non si battessero come questi esseri degeneri, che fino dalla loro fanciullezza erano stati allevati come cani alani per il combattimento. Senza giugnere all'estremo di perdonare la viltà, non attaccavano verun sentimento di vergogna all'inferiorità di bravura e di forza; ne convenivano essi medesimi, e non pensavano a misurarsi con una più brillante nazione quando una grande superiorità di numero non compensasse abbondantemente la riconosciuta inferiorità della virtù militare.
      La guerra de' Fiorentini contro Enrico VII fece ad un tempo conoscere la coraggiosa loro fermezza, e la loro mancanza di valore. Quando seppero che Enrico adunava tutte le sue forze per attaccarli, non cercarono di aprire con lui negoziazioni, o di allontanare la burrasca; e non calcolando i pericoli cui poteva in avvenire esporli la sua collera, nè l'immediata ruina delle loro campagne, osarono di far testa colle forze di una sola città all'imperatore della Germania: ma d'altra parte, quand'ebbero riunita coi soccorsi degli alleati un'armata due volte maggiore di quella del nemico, non perciò azzardarono una battaglia, ma si chiusero invece entro le loro mura, non illudendosi intorno al poco valore de' loro soldati.
      Quando si seppe a Firenze l'arrivo dell'imperatore in Arezzo, la signoria, senza aspettare i soccorsi delle città alleate, fece partire quasi tutte le forze della repubblica, cioè 1800 lance ed un grosso corpo di pedoni per il castello dell'Ancisa, posto in sull'Arno a quindici miglia da Firenze.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo IV
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 288

   





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