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      Ingrandì al di fuori la repubblica, sebbene in pari tempo la facesse odiare col mancar di fede; la mantenne internamente tranquilla, soffocando le congiure nel loro nascere e sempre rendendo impotente l'odio eccitato dal suo despotismo. Ma la stabilità d'un governo non è un vantaggio per la nazione che allora quando lo stesso governo è un bene. Quale vantaggio ne veniva al nobile veneziano dall'aver nulla a temere il consiglio de' dieci, quando poi ogni giorno la sua libertà, la sua proprietà, la sua vita erano più minacciate da questo solo consiglio, che da tutti i suoi nemici? Quale vantaggio ritraeva la nazione dall'ingrandimento del territorio, se la stessa nazione perdeva la sua felicità sotto il despotismo, e se colle sue conquiste non faceva che accrescere il numero de' suoi compagni di schiavitù? Si trova nello stabilimento della vera tirannide per la conservazione della libertà una così aperta contraddizione, che mal si può concepire come gli uomini possano esserne per lo spazio di più secoli contenti. Il consiglio de' dieci durò quasi cinquecento anni, rendendo ogni giorno, fino all'ultimo di sua esistenza, più pesante il giogo da lui posto alla nazione; ed intanto esso l'aveva in modo accostumata a credere alla necessità del suo potere, che il corpo dei nobili, che più degli altri ne sentiva il peso, non prese giammai la ferma risoluzione di distruggerlo, com'era ogni anno in suo arbitrio il farlo in tempo delle elezioni d'agosto e di settembre, che rinnovavano questo formidabile consiglio.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo IV
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 288