I Cremonesi tormentati dalla fame e dalla miseria, col nemico alle porte, perciocchè Cane si era innoltrato fino al sobborgo di Cossa, e col territorio tutto guasto, tranne pochissimi villaggi, erano inoltre agitati da intestine discordie. Il popolo attribuiva ai grandi le sventure della repubblica ed andava dicendo che per mettere fine alle loro dissensioni conveniva dare un capo allo stato; che per difendere i popoli dall'attuale maniera di trattare la guerra, non era vi che il governo d'un solo; che Verona, Parma, Mantova, Milano, quasi tutte le città della Lombardia, offrivano un esempio ch'era omai tempo d'imitare; che tornerebbe minore vergogna ai Cremonesi dall'ubbidire ad un loro concittadino, che a Cane o a Passerino; e che un principe potrebbe solo far cessare gli odi che avevano fatto spargere tanto sangue e mandare in esilio tanti cittadini.
Frattanto il partito repubblicano cercava di protrarre l'esecuzione di così funesto consiglio; ed alla testa degli amici della libertà Ponzino Ponzoni, capo dei Ghibellini, andava ripetendo che preferiva di vedere la sua patria preda delle fiamme, piuttosto che sotto il giogo di un tiranno343. Malgrado la sua resistenza scoppiò tra la plebe una sedizione il 5 settembre del 1315. Giacomo marchese Cavalcabò fu condotto al pretorio dai sediziosi e proclamato signore della città. Gli amici della libertà si ritirarono ne' villaggi e gli eccitarono alla sommossa: Ponzino Ponzoni, citato da Cavalcabò a tornare in città, rispose; «non aver fin allora combattuto contro i nemici dello stato che per sottrarsi alla servitù; e non sapere adesso quale motivo potrebbe mettergli le armi in mano contro gli stranieri, mentre la scure della tirannide stava sospesa sopra tutte le teste; che per ultimo non riconosceva altra patria che Cremona libera.
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