Una strana rivoluzione emerse in allora da così violenta animosità e dal reciproco timore. Spaventati i Doria dalla superiorità che acquistavano i loro nemici, uscirono, senza combattere, dalle mura di Genova; e gli Spinola non meno dei Doria atterriti nel trovarsi in balìa de' Guelfi che gli avevano chiamati, abbandonarono ancor essi la città; onde i Grimaldi coi Fieschi si trovarono soli padroni della repubblica loro abbandonata dalle due fazioni ghibelline.
Le due famiglie rivali che trovaronsi esiliate assieme dopo avere volontariamente abbandonata la patria ai loro nemici, non tardarono, nel comune infortunio, a riconciliarsi. S'impadronirono di Savona e di Albenga, che fortificarono per servire di centro alle loro forze. I Ghibellini delle montagne si unirono ai fuorusciti genovesi, cui Matteo Visconti e Cane della Scala promisero larghi soccorsi31.
In marzo del 1318 Marco Visconti, figliuolo del signore di Milano, passò le montagne della Bocchetta con un'armata, e si avanzò fino alle porte di Genova per assediarla. Una flotta ghibellina, equipaggiata a Savona dagli emigrati, presentossi nello stesso tempo innanzi al porto, e dopo varie scaramucce s'impadronì della torre del Faro. L'armata del Visconti si divise ne' sobborghi di san Giovanni e di sant'Agnese, occupando le valli di Bisagno e della Polsevera32. I Grimaldi ed i Fieschi, vedendosi addosso tutte le forze de' Ghibellini d'Italia, scrissero al re Roberto di Napoli ed a tutte le città guelfe per avere soccorsi.
Roberto che fino allora aveva affidato il maneggio della guerra in Lombardia ed in Toscana ai suoi generali e ai principi del sangue, credette la difesa di Genova di tale importanza, che volle incaricarsene egli medesimo.
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