L'amore che portavano a Giacomo di Valenza accresceva il loro malcontento, onde la sua condanna, sebbene giusta e meritata, eccitò l'indignazione di tutta l'università; e gli studenti coi loro professori partirono alla volta di Siena, dopo aver tutti giurato di non tornare a Bologna prima di avere ottenuto intero soddisfacimento95.
Vivea allora in Bologna Romeo Pepoli creduto comunemente il più ricco particolare che fosse in Italia. I beni che i suoi maggiori ed egli stesso avevano ammassati colle usure, facevansi ammontare a cento venti mila fiorini di rendita, corrispondenti press'a poco ad un milione e mezzo di lire, di cui ora cominciava a servirsi per aprirsi una strada alla sovranità della sua patria. Cercava perciò di guadagnarsi il popolo colle liberalità, spesso ancora accordando protezione e sottraendo i delinquenti al rigore delle leggi; e si acquistava in tal maniera opinione d'essere l'amico degli infelici e degli oppressi. Lo stesso anno aveva tentato di salvare a forza aperta un notajo convinto di falso: tentò pure di difendere Giacomo di Valenza prima che fosse giudicato, e dopo morto questi, prese a favoreggiare la causa degli studenti, annunciandosi come il protettore dell'università. La diserzione degli scolari aveva sparsa la desolazione in tutta la città, temevasi di vedere Bologna decaduta per sempre dall'antico suo splendore, e Romeo di Pepoli, secondato dal favor popolare, mosse il senato a posporre il rigore della giustizia al comune interesse. Furono spediti deputati agli scolari rifugiati in Siena; il podestà chiese loro pubblicamente scusa, rinunciando ad ogni giurisdizione sopra di loro, ed accrescendo l'onorario de' professori.
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