Affidò la custodia di Pisa a Tarlatino di Pietra Mala, uno de' signori d'Arezzo, lasciandogli circa seicento cavalli tedeschi, e s'incamminò col resto delle sue truppe verso la Lombardia203.
Finchè l'imperatore si trattenne in Toscana, i Fiorentini non potevano disporre delle loro forze, che per difendersi da così potente nemico; ma ne fu appena lontano, che cominciarono ad approfittare dell'odio che questo monarca aveva ispirato ai popoli. Dì quante conquiste aveva fatte Castruccio, più d'ogni altra spiaceva ai Fiorentini quella di Pistoja che apriva ai Ghibellini il passaggio delle montagne, e li metteva nella stessa campagna di Firenze. Ma i Panciatichi, capi de' Ghibellini pistojesi, dopo averne scacciati i Tedici che risguardavano come traditori, mossero pratica presso il governo fiorentino per rappacificarsi. Ne aprì le negoziazioni Pazzino de' Pazzi, loro parente, col di cui mezzo il 24 maggio del 1329 si segnò la pace tra Pistoja e Firenze. I Pistojesi rinunciarono ad ogni loro diritto sopra Montemurlo, Carmignano, Artimino e Vitolino, fortezze già occupate dai Fiorentini; si obbligarono ad avere in ogni tempo per loro amici gli amici dei Fiorentini, per nemici i loro nemici; ed acconsentirono a ricevere entro le loro mura, per sicurezza della città, un capitano fiorentino con una piccola guarnigione204. Dopo questo trattato, sebbene si continuasse a risguardare Pistoja qual città alleata e non suddita de' Fiorentini, cessò d'avere un'esistenza indipendente, e cessarono i suoi abitanti di formare un popolo.
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