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      Questo legato pontificio, cattivo soldato e peggior prete, cercava sotto il nome della chiesa di formarsi una sovranità in Italia. Impiegava le armi ed i tesori della santa sede ed i più vili intrighi della mondana politica per ingrandirsi a spese de' popoli ch'eransi posti sotto la sua protezione. Avendo colla sua perfidia fatte ribellare le principali città della Lombardia cispadana, gittava in Bologna, che destinava essere la capitale de' suoi dominj, i fondamenti d'una fortezza che lo assicurasse dalle insurrezioni d'un popolo estremamente maltrattato232. Gl'Italiani, sdegnati contro i due capi del cristianesimo, dai quali vedevansi traditi, si staccavano dall'imperatore e dal papa, e non pertanto conservavano i nomi di Guelfi e di Ghibellini che avevano presi quando s'erano armati per la loro causa. Mentre vedevansi rovesciare a vicenda tirannidi vacillanti, o rinunciare ad una libertà che non sapevano stabilire, sprezzare un imperatore perfido e pusillanime, e detestare un papa ipocrita ed ambizioso, un principe che non pareva occuparsi che della gloria e della beneficenza s'innoltrò fino alle frontiere della Lombardia, tutti i popoli si affrettarono di assoggettarsi alla sua sovranità.
      L'ultimo imperatore Enrico VII aveva fatta sposare a Giovanni, suo figliuolo, Elisabetta seconda figlia di Wenceslao re di Boemia, mentre Anna, la primogenita, erasi maritata, vivente il padre, con Enrico duca di Carinzia. L'imperatore aveva dato a suo figliuolo il regno di Boemia come feudo vacante dell'impero; i Boemi ne avevano confermata l'elezione l'anno 1310, ed avevano ajutato il loro re Giovanni a scacciare dal regno Enrico di Carinzia, che pretendeva, come marito della primogenita di Wenceslao, quella corona233. Ma Giovanni, valoroso, galante, appassionato per le feste e per i tornei, e per l'avuta educazione, avvezzo alle maniere eleganti, alla leggerezza ed alla grazia della corte francese, era mal atto a comandare in un paese ancora mezzo barbaro, ove i magnati erano gelosissimi della selvaggia loro indipendenza234, e non potevano tenersi sommessi che colla desterità e coll'artificio.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo V
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 298

   





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