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      La piccolezza degli stati tanto favorevole alla indipendenza, diminuendo alquanto il lustro de' principi, dava ai sommi ingegni un rango superiore a quello de' sovrani.
      Era infatti convenevole cosa che a coloro, i quali consacravano allo studio que' talenti che avrebbero potuto procurar loro le principali cariche ed il supremo potere dello stato, si accordassero le più onorevoli ricompense. La lingua era appena formata, ed il capo d'opera di Dante faceva soltanto conoscere quel che poteva diventare. Non erano per anco stabilmente fissati i confini tra l'italiano ed il latino idioma; il primo non aveva ancora la sua grammatica, ed ancora incerto ne era il carattere. Il Villani, il Boccaccio e Franco Sacchetti formarono la prosa, e lasciarono eccellenti esemplari d'eleganza, di chiarezza, d'ingenuità e di gusto, che i susseguenti secoli non superarono. Cino da Pistoja, Cecco d'Ascoli, Petrarca, Zanobio Strada crearono, o perfezionarono la poesia lirica; facendo a vicenda parlare ne' loro versi l'amore, la religione, l'immaginazione e l'entusiasmo; fissarono per l'Italiano il linguaggio poetico, quel linguaggio pittorico, ove non sono ammessi vocaboli che non presentino alcuna immagine. L'antichità era mal conosciuta, e su la terra la più doviziosa d'ogni altra per antiche memorie, il popolo poteva appena approfittare dell'esperienza de' passati secoli. Ma Albertino Mussato, Ferreto Vicentino e Giovanni da Cermenate mostrarono come doveva studiarsi la lingua de' Romani per possederla come se fosse la propria.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo V
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 298

   





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