La cavalleria chiusa in piazza ed esposta ad una grandine di saette, fu avanti sera forzata a fuggire in palazzo, abbandonando i cavalli al popolo, che occupò pure la piazza medesima.
Intanto era stato attaccato e preso da altri insorgenti il palazzo del podestà, aperte le prigioni della Stinca e di Volognano, e liberati i prigionieri. Dall'altra parte dell'Arno gl'insorgenti avevano occupate le porte, le mura ed i ponti e convertito il loro quartiere in una fortezza, nella quale erano disposti a difendere la loro libertà, se i loro concittadini rimanevano altrove soccombenti; ma in sul fare della sera attraversarono essi medesimi i ponti, distrussero le barricate, e riaprirono le comunicazioni cogli altri quartieri della città; poi si avanzarono verso la piazza dei priori ripetendo la parola che aveva servito di segnale all'insurrezione: muora il duca, viva il comune e la libertà! Ebbe allora Firenze sotto le armi mille cittadini a cavallo, e dieci mila, che, quantunque a piedi, erano armati di corazze e di barbuti come i cavalieri. Quelli non avevano intera armatura, o soltanto gli stromenti che avevano mutati in armi non furono contati.
Il duca assediato nel suo palazzo da forze tanto superiori, cercò di calmare il popolo. Armò cavaliere di propria mano Antonio degli Adimari che aveva prima fatto imprigionare, e lo mandò verso i congiurati per cercar di calmare la loro collera. Di già molti satelliti della sua tirannide erano stati sorpresi in varj luoghi, ed implacabilmente uccisi.
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