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      Ma perchè non erano abbastanza ricchi per tenere continuamente truppe regolate al loro soldo, ne confidavano la guardia ad assassini, a persone perseguitate dai tribunali, cui accordavano la loro protezione e l'impunità de' delitti, accordando loro un luogo sicuro onde riporre i profitti degli assassinj488.
      Per altro vedevansi ancora in Roma gli avanzi d'un governo popolare: i tredici quartieri della città nominavano il rispettivo capo, e l'adunanza di questi magistrati, chiamati Caporioni, rappresentava il sovrano; ma non aveva nè la forza nè l'autorità per farsi ubbidire. Il papa erasi usurpata l'elezione del senatore, e non affidava questa sublime dignità che a nobilissimi personaggi; quindi il potere giudiziario e la forza armata trovavansi in mano di quell'ordine contro del quale avrebbero dovuto adoperarsi.
      Il senatore chiudeva gli occhi sui disordini dei gentiluomini, non prendendo le armi per punire i delitti che quando trattavasi di un suo personale nemico. Allora la vendetta nazionale si esercitava in modo da turbare maggiormente la pubblica tranquillità. I nobili scendevano frequentemente ai più bassi intrighi per ottenere dalla corte d'Avignone grazie o beneficj, non però essi riconoscevano nel papa un'autorità sovrana, ed i feudatarj della Chiesa credevano di avere diritto ad una maggiore indipendenza, che quelli dell'impero. Ne abusavano specialmente nelle guerre civili; la rivalità delle case Colonna ed Orsini divideva in due partiti tutta la nobiltà, e rinnovava ogni giorno le ostilità. Cola da Rienzo quando commettevasi qualche delitto, un ratto, un omicidio, un incendio, aveva nuovi motivi d'imputare ai nobili l'anarchia in cui versavano i Romani; sentivasi animato contro di loro da un odio che confondeva colle memorie della storia, da un odio ereditato dai Gracchi; ed egli aveva ben più ragione degli antichi tribuni, di trovare i patrizj del suo tempo degni della collera e della vendetta del popolo.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo V
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 298

   





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