A Firenze, in principio della malattia, manifestavasi o presso l'ano o sotto le ascelle un'enfiatura della grossezza d'un uovo ed anche maggiore. Più tardi quest'enfiatura, detta gavocciolo, manifestavasi indistintamente in qualsiasi parte del corpo; ed ancor più tardi la malattia mutò i sintomi, che furono d'ordinario macchie nere o livide, in alcuni larghe e rare, piccole in altri e spesse. Vedevansi a bella prima su le braccia o su le cosce, poi su tutto il corpo12: e come il gavocciolo, erano queste presagio di vicina morte. L'arte di niun medico poteva mettere argine al male, sebbene quando cominciò l'epidemia, oltre i dottori di professione, un infinito numero di ciarlatani prescrivessero molti rimedj che non salvarono un solo ammalato. I più morivano il terzo giorno, e quasi tutti senza febbre o verun nuovo accidente.
Bentosto tutti i luoghi infetti furono colpiti da estremo spavento, vedendosi con quale prodigiosa rapidità dilatavasi il contagio. Comunicava immediatamente l'infezione non solo il conversare cogli ammalati, ed il contatto loro, ma ben anche il solo toccare le cose da loro toccate. Furono veduti animali cader morti per avere toccati gli abiti degli appestati, gittati nelle strade. Allora non si ebbe più rossore di mostrarsi vile ed egoista. Nè solo i cittadini evitavansi gli uni gli altri, ma i vicini abbandonavano i loro vicini, ed i parenti, se pure talvolta si visitavano, tenevansi a tale distanza dall'ammalato che manifestava il loro terrore; ben tosto fu veduto il fratello abbandonare il fratello, lo zio il nipote, la sposa il marito, e perfino alcuni genitori i proprj figli.
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Firenze
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