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      Nello stesso anno la corte d'Avignone volle far servire alle ambiziose sue viste il tesoro raccolto colla pubblicazione del giubileo.
      Lo stato della chiesa che per anco non era stato assoggettato all'immediata ubbidienza dei papi, sebbene gl'imperatori ne avessero loro abbandonata la sovranità, era di que' tempi diviso tra molti piccoli tiranni che comandavano ad una o due città. Ma queste città erano delle più piccole d'Italia; il coraggio de' loro abitanti erasi spento nella servitù, ed i signori non potevano, per la loro difesa, far capitale nè sul numero, nè sulle ricchezze, nè sull'energia de' cittadini. Credette Clemente VI di approfittare della circostanza in cui la peste aveva ridotti que' popoli all'ultimo grado di debolezza, per far riconoscere la sua sovranità a tutti que' piccoli principi: commise perciò ad Ettore di Durafort, suo parente, ch'egli aveva creato conte della Romagna, di ricondurre colla forza o coll'astuzia tutte le città del suo feudo sotto l'autorità della chiesa; affidava perciò al suo arbitrio una ragguardevole somma di danaro e quattrocento cavalieri provenzali, che, uniti alle truppe sussidiarie de' signori di Lombardia, formavano un'armata di mille ottocento cavalli46.
      Le segrete istruzioni date ad Ettore di Durafort volevano che spogliasse tutti i tiranni della Romagna; ma l'apparente motivo dell'armamento era quello d'attaccare e punire Giovanni dei Manfredi, signore di Faenza, che per una privata offesa erasi staccato dal partito de' Guelfi e della chiesa47. Durafort fece chieder truppe ausiliarie alla famiglia guelfa degli Alidosi che governava Imola, ed ai signori di Bologna, Giovanni e Giacomo de' Pepoli, figli di Taddeo, morto due anni prima.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo VI
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1818 pagine 301

   





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