Barnabò Visconti, che comandava in Bologna, pagò col danaro destinato ai Pepoli il soldo delle truppe che lo assediavano, prese mille cinquecento cavalieri della chiesa al suo servizio, obbligò gli altri ad allontanarsi, ricuperò tutti i castelli occupati dall'armata del conte, e lasciò che questi tornasse coperto di vergogna ad Imola65.
Questa rotta risvegliò per alcuni istanti la collera e l'orgoglio della corte d'Avignone. Clemente VI fece ricominciare contro i Visconti la procedura intrapresa da Giovanni XXII per titolo di scisma e di eresia; citò l'arcivescovo ed i suoi tre nipoti66 a comparire l'otto aprile del 1351 innanzi al concistoro dei cardinali, onde giustificarsi della loro ribellione contro la chiesa; e mandò in Italia, col titolo di legato, il vescovo di Ferrara, per formare una lega contro i signori di Milano67.
Il legato si presentò prima all'arcivescovo Visconti, e gl'intimò di restituire Bologna alla chiesa, e di scegliere in seguito tra la condizione di prete o di principe, tra la potenza spirituale o la temporale. Il Visconti chiese al legato di ripetergli lo stesso ordine la susseguente domenica nella chiesa cattedrale, poichè non era che in presenza del popolo e del clero, che un arcivescovo ed un principe poteva rispondere a tale ambasciata. Nel giorno indicato, poichè il Visconti ebbe solennemente celebrata la messa, il legato pontificio espose avanti a tutto il popolo l'ambasciata di cui era incaricato: allora l'arcivescovo prendendo con una mano la croce, e coll'altra sguainando una spada: Ecco, disse, le mie armi spirituali e temporali; colle une io difenderò le altre68.
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