Il popolo genovese domandò egli stesso le catene a quest'ambizioso tiranno. Il 10 ottobre del 1353 il doge Giovanni di Valente fu deposto, ed il conte Palavicino, nominato dal Visconti governatore di Genova, fu ricevuto in città con una guarnigione di settecento cavalli e mille cinquecento pedoni. Il nuovo signore fece aprire strade di comunicazione colla Lombardia, mandò al popolo vittovaglie, e danaro al senato per rifare la flotta, quasi che con tal prezzo pagar potesse la libertà genovese178.
Vero è che l'arcivescovo di Milano era stato scelto piuttosto come arbitro e pacificatore, che come padrone di Genova; onde, se osservate avesse fedelmente le imposte condizioni, la repubblica sarebbesi conservata libera sotto la sua protezione. Fu prima sua cura il ristabilimento della pace tra le fazioni nemiche179; poi cercò di dar fine alla guerra marittima. Incaricò d'un'ambasciata a Venezia il Petrarca, da poco tempo chiamato alla sua corte, commettendogli di dichiarare al doge Dandolo, ch'egli non prendeva parte all'odio nazionale de' nuovi suoi sudditi, che bramava di riconciliare coi Veneziani; e che, quand'anche non potesse ottenerlo, sperava per lo meno, ch'egli medesimo ed i suoi antichi stati si conserverebbero in pace colla repubblica180. Ma i Veneziani non meno accaniti dei Genovesi, risposero col dichiarare la guerra all'arcivescovo, ed i due popoli marittimi raddoppiarono i loro apparecchi per nuove battaglie181.
I Genovesi scelsero per loro ammiraglio Paganino Doria; quel grand'uomo cui andavano debitori della vittoria del Bosforo, e gli affidarono trentatre galere.
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