Cinque mila cavalieri tedeschi e dieci mila italiani avevano formato il suo seguito fino all'esecuzione della ceremonia, dopo la quale cominciarono a disperdersi, ripigliando quasi tutti la strada del loro paese325.
Il 19 aprile l'imperatore tornò a Siena. Scontrò il cardinale Egidio Albornoz, che, quale legato della santa sede, aveva in primavera ricominciata la guerra contro i tiranni della Marca e della Romagna326. Carlo gli aveva sovvenuti cinquecento corazzieri per attaccare i Malatesti, signori di Rimini, e questa fu la sola azione militare che facesse in Italia327. Straniero a tutti i partiti, indifferente per tutto ciò che non risguardava il suo regno di Boemia, insensibile all'onore della corona imperiale, Carlo non chiedeva agli Italiani che danaro, e perciò non poteva avere alcun motivo di fare la guerra a chicchefosse.
L'imperatore trovò Siena, come l'aveva lasciata, nel caldo della rivoluzione cagionata dalla caduta dell'ordine dei nove. Il popolo aveva escluso a perpetuità quest'ordine dall'amministrazione; aveva fatto cancellare il nome dei nove da tutti i luoghi pubblici, da tutte le leggi, da tutti i libri dello stato. Aveva voluto che la nuova signoria fosse composta di dodici governatori o amministratori, invece di nove; gli aveva scelti tra i popolani, ed aveva fatti distribuire nelle borse i loro nomi, per rinnovare a sorte la signoria ogni due mesi. Così la rivoluzione aveva cambiate le persone che governavano, ne aveva mutato il numero ed i titoli, conservando i medesimi principj; e sulle ruine d'un'oligarchia plebea, ne aveva innalzata un'altra ancora più plebea328.
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