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      Erasi fino allora creduta cosa impossibile l'unione di tanta gente, e, vedendola unita, ogni stato disperava di poterle far testa. Ma le truppe assoldate dei Tedeschi, degl'Italiani, o de' Francesi, non rassomigliavansi in verun modo alle armate feudali degli Ungari, le quali non avevano fino allora fatta la guerra che a popoli tartari, e l'armatura e la disciplina loro non li rendevano capaci d'altre guerre.
      A quest'epoca tutte le terre degli Ungari erano ancora feudi eventuali della corona; feudi che, a guisa delle starostie di Polonia, non venivano trasmessi da padre in figlio. Il re li dava e li ripigliava a suo piacere, o tutt'al più li lasciava al feudatario finchè viveva. In iscambio il barone obbligavasi a mettere in campagna un certo numero di cavalieri qualunque volta lo richiedesse il monarca. Tutti gli Ungari facevano la guerra a cavallo, ma questi cavalieri non avevano altre armi che un arco, delle frecce ed una lunga spada. Non portavano essi corazza, nè cotte di maglia, e le loro armi difensive riducevansi al solo abito, composto di un giubbone di cordovano coperto da un secondo, poi da un terzo e da un quarto cuciti assieme di mano in mano che il primo, di cui non spogliavansi mai, si andava consumando. La stoffa così raddoppiata e rinforzata dalla polvere medesima, ond'era impregnata, formava una specie di corazza, che difficilmente poteva sforarsi con una freccia o colla spada.
      Gli Ungari, avvezzi a guerreggiare nei deserti contro i Bulgari, i Russi, i Tartari, i Serviani, accostumavano i loro cavalli a nudrirsi al pascolo senza scostarsi gli uni dagli altri.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo VI
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1818 pagine 301

   





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