Ma quando nel 1337 Bologna venne in potere della casa de' Pepoli, cadde in uno stato di languore, di debolezza, di miseria, che andò sempre peggiorando nelle susseguenti rivoluzioni. Il dominio de' Visconti era stato più oppressivo di quello de' Pepoli, e la tirannide di Giovanni d'Oleggio ancora più pesante che quella de' Visconti. Eppure Oleggio aveva fama di essere uno de' più accorti politici del suo secolo, ed era risguardato qual uomo che in sè riuniva tutte le qualità proprie a far prosperare un tiranno. Erasi egli proposto di farsi temere dai cittadini ed amare dai soldati, ed aveva perciò sagrificati i primi agli ultimi, i deboli ai potenti. La sua vigilanza non era mai stata sorpresa, sebbene dovesse guardarsi dai Visconti, i più perfidi signori d'Italia, i quali profondevano il danaro per comperar traditori, facendo contro di lui nascere cospirazioni ad ogni istante. Ma Oleggio aveva sventate tutte le loro trame, e mentre aveva puniti coi più atroci supplicj i Bolognesi, suoi sudditi, aveva talvolta perdonato ai soldati complici delle medesime congiure con una generosità cavalleresca. Così mostrossi clemente verso uno dei figliuoli di Castruccio che l'aveva tradito, e questa affettata clemenza gli aveva guadagnato l'amore de' suoi soldati. Rispetto al popolo, poco temeva il suo odio; egli tenevalo disarmato, e confortavasi delle sue maledizioni, poichè lo vedeva ubbidiente.
Con non minore destrezza aveva l'Oleggio diretta la sua esterna politica. Quando la cura della sua difesa, rinforzata dall'ambizione, lo aveva consigliato ad usurpare la signoria di Bologna, egli era entrato nella lega de' principi lombardi contro i Visconti, di cui aveva in allora scosso il giogo; aveva presa una parte attiva nella guerra, e col suo zelo pei comuni interessi erasi meritata la stima degli alleati.
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