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      Andare dove gli uccelli non hanno paura, perché non sono abituati a trovarvi anche lassú. Alla biforcazione delle due frasche piú alte mi tenevo agganciato con un piede e bilanciandomi con la destra distesa procedevo a modo di bruco con la sinistra sulla fraschetta svettante, trattenendo il respiro, finché arrivavo al punto dove si piegava e a poco a poco s'avvicinava fino alla mia bocca. Qualche volta dovevo lasciarla riscattar via perché la nonna sgridava "Fioi, ve 'mazarè su quei alberi!". Allora stavo zitto, rosso, e scivolavo giú fluendo.
      E c'era anche, accosto al muro della strada, un tasso baccata che scortecciavo facilmente a larghi brani per vederlo piú pulito e piú rossiccio. Aveva, al terzo piano, due rami come un letto, e lí dormivo qualche dopopranzo; oppure contemplavo tronificante la mularia stradaiola che faceva a ruffa di sotto per agguantare le bacche rosse che buttavo giú da signore. (Io non le mangiavo, mi schifavano). Poi imbaldanzita cominciava a fiondar sassi, e io allora, saltato giú come un demonio, correvo al portone, ne strappavo la verghetta di ferro che serviva da chiavistello, e giú a rotta di collo per le strade, fino quasi al centro della città, con una maglietta e calzoncini a righette bianche e blu, lunghi riccioli biondi, urlando: "daghe! daghe!". E alla sera m'addormentavo disteso sul letto, mentre ancora mamma mi levava le calze piene di terriccio e ghiaiola. Cara e buona mamma mia.
      La mularia! Fecero la guerra a terribili sassate in Sanza, un'antica fortezza triestina diroccata, accanto alla nostra campagna.


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Il mio Carso
di Scipio Slataper
pagine 103

   





Sanza