Il padrone di casa mi dette in premio cinque bottiglie di vino; Vila mi sorrideva impaurita dalla finestra. Era il crepuscolo. Sotto l'albero i compagni scoppiarono in urli di evviva, e io, sfinito, temevo il vento come un uccello senz'ali, e guardavo superbo le case della città che s'accendevano di punti giallastri.
Ah, se ora che Vila è sposata e ha due, tre figlioli che forse leggono già quello che io scrivo per i bambini, ed è piú bella, assai piú bella d'allora, giovane mamma contenta, e non mi guarda nemmeno quand'io passo arrossendo accanto a lei, si ricordasse dei nostri due anni spensierati! E la caccia col flobert ai merli e alle gatte? C'era quella civetta impagliata in camera tua, con l'ali chiuse e inchinata un po' sullo stecco, solenne come una persona a modo. Aveva i gialli occhi di vetro, chiari nel semibuio della stanza, tondi, come un bersaglio. E un giorno tu caricasti misteriosamente il flobert e stic! un occhio si spaccò. Ricordi? E io ti guardavo felice e meravigliato.
E un giorno ti dissi: «Vila, no ti xe piú quela de una volta».
E tutto finí.
Ero stufo di lei. Aveva dei gusti strani che mi toglievano la libertà. Quando assieme ai compagni si dava la caccia con pali e forconi a un cane rinselvatichito, Vila d'improvviso s'arrampicava su un albero, e mi pregava: «Vieni su». Io m'arrampicavo, e guardavo dalle cime alte, scotendole stizzoso. «Vien qua, dai!» E m'accarezzava i capelli e il collo; poi mi baciava: e io sentivo le urlate dei compagni in caccia e i ringhi sfiniti del cane.
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Vila Vila Vila
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