Tutte le vite in patimento respirano libere.
Perché la terra ha mille patimenti. Su ogni creatura pesa un sasso o un ramo stroncato o una foglia piú grande o il terriccio d'una talpa o il passo di qualche animale. Tutti i tronchi hanno una cicatrice o una ferita. Io mi sdraiavo bocconi sul prato, guardando nell'intorcigliamento dell'erbe, e a volte ero triste.
Triste delle belle creature della terra. Io le conoscevo. Le mie mani sapevano le fonde spaccature estive dove lo zinzino occhieggia all'orlo con le sue lunghe antenne, e basta un fuscello o un soffio a farlo tracollar dentro; i muriccioli di sabbia con cui il filo d'acqua s'argina maestosamente; e seducevo la formica carica a salir su una larga foglia di platano per deporla cautamente al li là dell'alpe. Tutto m'era fraterno. Amavo le farfalle in amore impigliate nella trama nerastra del rovo, sbattenti disperatamente le ali in una pioggia di bianco pulviscolo, il bel ragno vellutato dalle secche zampe che sfilava nell'aria tremula il suo filo argentino perché s'incollasse sulla peluria uncinata di una foglia, e tentava con la zampina il filo per slanciarvisi dritto e tessere l'elastica tela. Ronzava disperata nel mio pugno la mosca colta a volo; accarezzavo il bruco liscio e fresco che si raggrinzava come una fogliolina secca; tenevo avvinta per le grandi ali cilestrine la libellula; affondavo il braccio nell'acqua per sollevar di colpo in aria il rospicino dalla pancia giallonera; tentava di ritorcersi l'addome della vespa contro le mie dita e partorirvi il pungiglione.
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