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      Brucia i boschi che gli italiani, gente sfatta di venti secoli, portarono qui per potere andare a sentire la conferenza di Donna Paola e entrar nella Borsa senza bora!
      Lo sloveno mi dà un'occhiata sghignante, taglia un ramo, estrae di tasca vecchi fiammiferi che ardon con lenta fiamma violetta, e accende paziente il foco. Io l'aizzo, ma egli fa un passatempo di pastore; io l'aizzo come se fossi slavo di sangue.
      O Italia no, no! Quando il boschetto cominciò ad ardere, io m'impaurii e volli correre per soccorso. Ma egli mi disse: "Xe lontan i pompieri"; sorrise lentamente, raccolse la frusta, e andò spingendo le quattro vacche.
      Io mi sdraiai, sfinito. "Cosí calava Alboino!"
      Povero sangue italiano, sangue di gatto addomesticato. È inutile appiattarsi e guatare e balzare con unghioni tesi contro la preda: la polpetta preparata è ferma nel piatto. Tu sei malato d'anemia cerebrale, povero sangue italiano, e il tuo carso non rigenererà piú la tua città. Sdraiati sul lastrico delle tue strade e aspetta che il nuovo secolo ti calpesti.
      Cosí stagnai, acqua marcia. E il bosco ardeva e la bella fiamma crepitante insanguinava il cielo.
      All'alba rinacqui. Non so come fu. Il cielo era puro e io scorsi la bella bianca città laggiú, e la terra arata. E di un balzo, come chi abbia visto Dio, mi buttai su di lei. Sparito era il sogno e l'incubo: perché io sono piú che Alboino.
      Tremando mi caccio nel solco e mi ricopro della terra gravida, sconvolgendo la sementa. E questo tocco di zolla ghiacciata io l'addento come pane.


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Il mio Carso
di Scipio Slataper
pagine 103

   





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