Primavere lampanti ai verdi scuretti. Grigia piovosità d'inverno. Pomi e pere grasse sugli alberi. Autunno ritornato. Ogni mattina. Il falegname pialla; - l'officina nera con la macchia sfavillante, alcuni mezzivisi, un martello in alto; - gli operai con i calzoni blu sollevare il lastricato e picconare il massiccio terreno per una conduttura d'acqua o di gas. Com'è triste il piccone e la vanga nel terreno battuto della città! Si lavora senza che nessuno vi possa seminare.
Ecco il casamento arido. Otto classi, venti parallele. Qua dentro ho passato nove anni della mia vita.
Una buona ragazza, di carne incitante e un gIovane alto e forte, qualche volta triste. Essi si sposeranno fra ott'anni. Essi stanno seduti su un largo sofà, tenendosi strette le mani e godendo dei loro caldi corpi.
La mamma vuol assai bene alla figliola, ed è un po' seccata dei lunghi anni e della serietà del giovane. Sarà contenta quando si sposeranno, se il giovane non porterà via la figliola e staranno insieme, allegri e senza tormenti. La zia corre, alzando e calando con la sua gamba zoppa, a preparare l'arrosto per la nipote bella che le promette un bacio. La zia è contenta che essa faccia come vuole il giovane, non vada ai balli, vada poco al teatro, legga qualche libro. Egli è l'unico che la difenda contro la cognata, e la zia gode che l'idee di lui siano opposte a quelle della cognata.
Il babbo, a tavola, si sbottona il gilè e additando con la mano grassa e unta la sovrabbondanza delle vivande dice soddisfatto: "Se moro mi, i mii no i ga de magnar". Egli è contento d'aver sulle spalle un peso sempre piú grave, e brontola sempre perché i suoi capiscano com'egli sappia lavorar bene.
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Iovane
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