Io amo i miei fratelli e i miei genitori perché la nostra vita è stata dolorosa e confidente. Io vado avanti con essi e non cedo. Noi vogliamo anche noi il nostro posto. Ci hanno fatto molto male. Alcuni sono stati buoni con noi, ma non ci hanno capiti. Noi vogliamo esser noi, con i nostri difetti e le nostre virtú, liberi di respirar l'aria che ci spetta. Io sono contento di aver avuto una famiglia povera. Sono cresciuto con un dovere e uno scopo. Essi mi vogliono bene, e il mio nome è il loro.
L'orologio batte egualmente il suo tempo e la camera è stretta e scura. Che sarà di noi se mamma non guarisce? La sua fronte è sudata, e il suo pallido viso è pieno d'amarezza.
Voglio oscura la camera. Non filtri il sole dagli scuretti. Io sono sdraiato bocconi sul letto, immobile, e non penso.
Non soffro. Nell'oscurità dilaga una noia infinita, e io sto dimentico, intravedendo con disgusto gli scaffali dei libri sulla parete di faccia.
Ho letto, ho guardato dalla finestra, ho fumato: inutile ritentare. Non ho voglia di niente, e la camera è fredda.
Sento stridere bimbi in strada, e ombre di carrozze sfumano rapide sulla parete. Presto sarà notte, e si spegnerà finalmente anche questo raggio denso di sole che illumina il mazzo di fiori dipinto lassú.
Intanto gli uomini tornano dal lavoro e si salutano l'un l'altro. E la terra cammina nella sua via fissa.
Ho girato tutta la città in questa notte di martedí grasso, annoiato e disgustato senza causa. Forse ricordavo l'altr'anno, con lei, in caffè. L'ho cercata per tutti i caffè, temendo di esser visto.
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