Buttavi giú litri d'acqua, immersa bocca e naso e occhi nella secchia del pozzo, sbuffando e ingorgogliandoti, senza tregua: sicché l'alenare delle narici scavava due fondi buchi nell'acqua. Stanco? ".
Qui nel treno che mi porta a Sant'Ellero c'è contadini che appena montati dormicchiano rovesciando la testa sullo schienale di legno. Io cammino su e giú per la corsia centrale del vagone. Stanco? Non so piú niente, ora. Non sono piú in città. Non ho piú obbligo di dimostrarmi perché faccio questa o quella cosa. Sono una bestia irrazionale. Scampagnata, gita, fuga, pazzia, leggerezza, sciocchezza: non so; so che vado sul Secchieta dove c'è la neve. Scendo dal treno, e respiro.
Su per gl'intrigati viottoli de' carbonai, che qui là si allargano in uno spiazzo nero. Dove vado? La collina nasconde Vallombrosa. Bene, se non mi sperdo; se mi sperdo, meglio. Tocco vecchi castagnoni senza midollo né carne; l'elleboro nero è fiorito. Forse i miei occhi troveranno tra le foglie brune e il musco la prima primola, accanto alla macchia di neve.
Allenta il passo: l'animo si può ingrassare rapinando la natura. Tutto è fiorito d'immagini intorno a te. Stendi la mano!: non i getti del rovo tu tocchi, né il cespuglio tenace delle ginestre, né i sassi della terra: accarezzi e ti pungi del tuo spirito, che è svolato via da te a crearti il tuo mondo. S'è abbattuto contro l'oscuro amorfo, e ha piantato di colpo le sue radici, entro di lui; onde il vento lo agita, rami invernali gonfi come pugno che piú s'ingrossa come piú si sforza in se stesso; e i tuoi scarponi marchiano il terreno umido di linfa succhiata su in mille forme dal sole; e il tuo sguardo si spande fraternamente nel cerchio divino dei colli verdineri, sotto il cielo limpido e lieve che par s'elevi - luce - piú in su dell'aria.
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Sant'Ellero Secchieta Vallombrosa
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