M'accorsi che mi guardavano. Allora ebbi ribrezzo di me. Stetti duro, fermo. Ero tutto infetto. Mi pareva che una mia parola avrebbe impestato il mondo. Guardai il mare largo, puro, e avrei voluto pregare. Ma no: tutto il mio dolore è mio, tutto il mio strazio è per me solo. E mi rinserrai il petto con le mani, e fui un sussulto di dolore attorto contro se stesso. Mi parve di poter morire perché il mio segreto bruciava avidamente il mio sangue, rosso, come il sole maledetto che tramontava nel mare.
Perché non lavori? Ricordati che qualcuno ha sperato in te. Ella aspetta, e non è contenta. Ogni minuto che tu implori è un delitto. Pesta il capo dentro il tavolino, ma lavora benedicendola. È giusto che sia morta, perché tu sei un vigliacco.
Mi sedetti al tavolino, presi la penna, cominciai a fare scarabocchi sulla carta, e facevo freghi con su scritto il suo nome. Improvvisamente mi spaventai e corsi allo specchio. Guardavo fisso i miei occhi e mi domandavo: "Sono molto lucidi? Ma Vedrani dice che non si può capire dai segni esterni se uno è pazzo. Non sono pazzo. Sta calmo, Scipio". Guardavo le cose riflesse nello specchio. Le cose riflesse nello specchio - per legge fisica - sono distanti dagli occhi come sono distanti dallo specchio le cose che si riflettono. Cercavo di calcolare se anch'io vedevo cosí. "Se mi pesto devo sentire dolore. Ma anche i pazzi lo sentono. Come posso avere una prova esterna che io non sono pazzo? " Il tappeto nello specchio faceva un angolo con il tappeto reale.
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Vedrani Scipio
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