In bocca balza un canto ingenuo e scomposto.
Come il corpo s'adagia avidamente sulla terra! Le braccia si distendono grandi su di essa, e il mio respiro si fonde come una preghiera nell'infinita aria gioconda.
Madre, madre! s'io ti maledii, tu m'accogli piú amorosa e serena. I tuoi alberi giovinetti mi circondano sussurrando in coro e crepita e sciaborda il frumento verso il ciuffo rosso del giunco, mentre dalla nera verdura i pomi tondeggiano e s'acquattano all'alitare delle vespe e dei moscerini tramanti a punteggi e sbalzelli il fondo azzurro. E via, d'uno scatto e un trillo si buttò sul mare lo scassacodola.
Dolce è riposare cosí, amando delicatamente questa lunga erba, e palpitare persi con lo sguardo nel cielo. Io sono una dolce preda desiderosa d'inghiottirsi nella natura.
Carso, che sei duro e buono! Non hai riposo, e stai nudo al ghiaccio e all'agosto, mio carso, rotto e affannoso verso una linea di montagne per correre a una meta; ma le montagne si frantumano, la valle si rinchiude, il torrente sparisce nel suolo.
Tutta l'acqua s'inabissa nelle tue spaccature; e il lichene secco ingrigia sulla roccia bianca, gli occhi vacillano nell'inferno d'agosto. Non c'è tregua.
Il mio carso è duro e buono. Ogni suo filo d'erba ha spaccato la roccia per spuntare, ogni suo fiore ha bevuto l'arsura per aprirsi. Per questo il suo latte è sano e il suo miele odoroso.
Egli è senza polpa. Ma ogni autunno un'altra foglia bruna si disvegeta nei suoi incassi, e la sua poca terra rossastra sa ancora di pietra e di ferro.
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