Io mi rammento che in quei giorni mi vergognavo ad uscir soltanto di casa: mi pareva che tutta quella gente che era conscia della mia prima partenza mi ridesse sul muso, e che dentro di se mi rimproverasse quell'ineRzia, che d'altronde era la conseguenza logica della mia situazione.
Finalmente un giorno capitò da me, che in quel momento avevo già dismesso il pensiero di poter prender parte alla campagna di Francia, il Bocconi, e, senza che io prOferissi nemmeno una parola mi disse: Sei sempre deciso di venire in Francia?
- Sicuro! - Gli risposi.
- Allora domani l'altro partiamo.
- Non burli?
- Ti parlo del miglior senno possibile... ci stai sempre.?
- Se ci stò!...
- Allora siamo in cinque,
- Ma, ai fondi?
- Ci è chi provvederà...
- Tanto meglio!
E fissammo di vederci due sere dopo al Caffè Ferruccio; chè l'ora della nostra partenza era alle quattro del mattino, ed era deciso che saremmo andati a Genova per via di terra, non essendo cosa ben fatta il tentar di ripassar da Livorno, dove il questore Bolis comandava tutt'ora a bacchetta.
La sera che dovevamo partire me ne andai solo solo all'Arena Merini... pardon al teatro Principe Umberto; chiacchierai cogli amici, mi mostrai più di buon'umore di quello che ero realmente, dissi male degli Italiani che erano andati in Francia, e protestai di riconoscer di avere io fatto malissimo a partire la prima volta. Che volete? I casi che mi erano accaduti antecedentemente mi rendevano sempre più convinto, che a voler che un'impresa vada per il suo verso, è necessaria un pò di gesuiteria, e che una persona che crede di andare avanti colla buona fede, e collo spifferare tutto quello che ha sullo stomaco, in generale finisce coll'avere il male, il malanno e l'uscio addosso.
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Da Firenze a Digione
Impressioni di un reduce garibaldino
di Ettore Socci
Tipografia sociale Prato 1871
pagine 297 |
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