L'impresa a quel momento si poteva chiamare fallita; un uomo prudente, uno che va col successo si sarebbe ritirato, ma Garibaldi era lì in prima fila, ma noi si vedeva fuggire i Francesi e volevamo far vedere quanto più di loro valessero i calunniati Italiani, epperciò con l'entusiasmo di chi sa di sacrificarsi per una idea generosa si stava fermi, al nostro posto. E lì morì il povero tenente, Anzillotti; lì morì il bravo Del Pino uno dei ragazzì più buoni e più coraggiosi che io m'abbia conosciuto, e certo uno dei migliori della mia compagnia. Non vi sto a dire il numero dei feriti, i Carabinieri Genovesi furono decimati... gli Italiani si battevano e si battevano da eroi.
Fu giuocoforza il ritirarsi; mai ritirata poteva cominciare con tanto disordine; si correva all'impazzata pei campi, ogni poco, si cadeva per terra, ogni poco ci si trovava a mezza gamba nell'acqua, e tutto questo sotto un fuoco continuo di mitragliatrici, di cannoni, di moschetterìa. Giunto a capo di una viuzza, fui scaraventato per terra: tentai di rialzarmi, mi fu impossibile poco dopo io era fuori dei sensi; non so quanto durò, il mio sbalordimento; quando mi riebbi mi trovai sopra un barroccio che mi portò all'ambulanza d'Autun, da dove fui trasferito a Lione. Un'impertinentissima scheggia di mitraglia mi aveva forato la coscia. Ottenuto un permesso di convalescenza, ho fatto un mesetto di villeggiatura a Nizza, e ora me ne torno lassù, che, grazie al Cielo, della forza per battermi coi Prussiani ne ho sempre, perché, sappiatelo ragazzi, una battaglia è uno di quei divertimenti che non capitano ad ogni canto di gallo; si può morire, ma dove volete trovarmi una cosa più bella di morire, in mezzo al fumo, al rumore, alle trombe e alla gloria.
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Da Firenze a Digione
Impressioni di un reduce garibaldino
di Ettore Socci
Tipografia sociale Prato 1871
pagine 297 |
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