Certo che chiunque avesse veduto quel piccolo legno, sbattuto in mezzo agli spaventevoli cavalloni, sempre a un pelo per far cuffia, sempre frisando gli scogli, sempre a pochi passi dalla morte, non poteva fare a meno di esser colpito da tanta sublimità, da tanta abnegazione, da tanto coraggio... Oh! non mi si dica, che ai dì d'oggi l'antica virtù è un mito nel mondo... oh! no... la virtù esiste: sarà a bella posta obliata; si tenterà di farla passare per pazzia, ma a dispetto di chi non lo vuole, essa trova sempre dei seguaci, dei seguaci che vivono e muoiono ignorati, ma che sono anche troppo superbi per ottenere tale oblio, nel secolo in cui i ciarlatani di professione, i codardi e colpevoli servitori delle corti e del vizio sono portati in palma di mano da una folla più di loro codarda e colpevole! La virtù la vìve, ma per volerla rintracciare, bisogna andare tra quella gente che è posta in quarantina dalla società degli uomini serii, bisogna rintracciarla nei bassi fondi sociali, tra la gente che soffre, lavora e muore di fame; simile in tutto alle perle che non si trovano che tra la melma.
Il vento impetuosissimo, i marosi che in conseguenza di questo avevano raggiunto tutto ciò che può esservi di più orribile per il marinaro, l'albero maestro troncato costrinsero i nostri giovani amici a fermarsi a Vada, piccolo paese della Maremma, distante a dir molto mezza giornata di cammino da Livorno.
Attorniati immediatamente dai carabinieri, essi dovettero ai sentimenti generosi dei buoni popolani di lassù, il potersi ridurre in salvo: si rifugiarono diffatti in un'abbaino, alle cui finestre non erano imposte, nè vetri, e che aveva tanto basso il soffitto da costringere chiunque v'entrasse, ad andarvi carponi.
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Da Firenze a Digione
Impressioni di un reduce garibaldino
di Ettore Socci
Tipografia sociale Prato 1871
pagine 297 |
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Vada Maremma Livorno
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