Vi doverono star sette giorni: senza un pagliericcio, senza un brodo che loro ravvivasse le forze già esauste; costretti a dormire, l'uno l'altro abbracciati, per scongiurare la veemenza del freddo Siberico, confortandosi e prendendo animo all'idea del santissimo sacrificio che per santissimo intento essi in quel mentre facevano, passarono in quella dolorosissima situazione degli istanti divini.
Riattato il piccolo navicello, essi a notte inoltrata poteron ripartire: a bordo vi erano viveri, ma essendo durato il viaggio per altri sedici giorni, i futuri difensori della repubblica, soffrirono anche la fame ed arrivarono sfiniti, cascanti, dopo cento altre peripezie a Bastia.
Nella capitale della Corsica, Rossi, Piccini, e i compagni, trovarono una perfidissima accoglienza: tutti ci dichiararono umanimemente che quegli abitanti, devoti alla causa Napoleonica, appena che ebbero odorato, che i giovinetti, sbarcati dal quel navicello, stracciati, ed in cattivissimo, stato, erano dei Garibaldini, non fecero che guardarli in cagnesco, non risparmiando loro certi atti villani, che sarebbero stati degnamente rintuzzati, se in quei momenti ragioni potentissime non avessero consigliato sangue freddo e prudenza.
Ricevuti come cani alla prefettura, trattati, quasi come pazzi al comando di piazza, guardati con diffidenza dal Mair, essi non si perdettero di coraggio e fiduciosi nel proverbio che l'importuno vince l'avaro, tanto almanaccarono, tanto scombussolarono, usando ora buone maniere, ora sgarbi, pregando e protestando, che alla fine furono imbarcati sopra un piroscafo, e inviati a Marsiglia, dove si erano già costituiti i due celebri comitati Garibaldini.
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Da Firenze a Digione
Impressioni di un reduce garibaldino
di Ettore Socci
Tipografia sociale Prato 1871
pagine 297 |
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